Tutto quello che avreste voluto sapere su Prometheica
Cos’è Prometheica? Chi c’è dietro?
Prometheica è una rassegna di studi sul sovrumanismo, la tecnica e l’identità europea. Si tratta di una pubblicazione non periodica e di alcune pagine social legate a essa. Dietro Prometheica non c’è nessuno, se non i quattro fondatori del progetto che ne hanno siglato il primo numero. Prometheica non fonda alcun nuovo movimento organizzato, né si collega a qualche movimento già esistente. Non ha grandi vecchi, ispiratori, suggeritori, finanziatori.
Per voi la tecnica è giusta in sé?
Porsi questa domanda è come chiedersi se l’arte, la guerra, la religione, il vivere associato siano giusti in sé: è un quesito che non ha senso. La tecnica è consustanziale all’uomo, esattamente come l’arte, la guerra, l’afflato religioso o il vivere associato. Ovviamente i suoi esiti non sono «giusti in sé» (ammesso e non concesso che esista una «giustizia in sé» che prescinda da un quadro di valori dato), così come non tutte le guerre sono giuste, non tutte le forme artistiche elevano l’uomo, non tutte le religioni esprimono valori positivi e non tutte le forme di vita associata danno luogo a sistemi politici in cui ci piacerebbe vivere. Ciò non toglie che siano tratti culturali ineliminabili. Eliminare la tecnica significherebbe eliminare l’uomo, questo sì un progetto orwelliano e distopico. Non è il prodotto tecnico in sé, la singola tecnologia, che vanno elogiati acriticamente, è semmai la «mobilitazione del mondo», la volontà di conquista connessa all’essenza della tecnica che va fatta propria senza complessi. Sugli esiti pratici della tecnica, poi, è sempre l’uomo a decidere.
Quello di Prometheica è un progetto transumanista?
No. Non ci riconosciamo nell’etichetta di «transumanisti» e non siamo legati ad alcun movimento transumanista organizzato. Il transumanismo è il nome generico dato a un ampio spettro di posizioni, tendenze, scuole e movimenti, anche molto diversi fra loro, ma in cui c’è una dominanza di idee liberali, liberiste, tecnocratiche, trozkiste e anarchiche. Il prefisso trans, del resto, indica un mero oltrepassamento orizzontale dell’umanismo, lasciando inespresso il tema della direzione di tale oltrepassamento, che invece secondo noi è cruciale. Prometheica preferisce riferirsi al termine sovrumanismo, di stretta ascendenza nietzscheana. Ciò non toglie che singoli autori che si autodefiniscono transumanisti possano attirare la nostra attenzione.
Come si pone Prometheica nei confronti del Grande reset?
Il cosiddetto Grande reset non è altro che un’operazione di ristrutturazione tecnologica e politica all’interno del sistema dominante, sistema che Prometheica combatte. Sono semmai primitivisti e conservatori a puntellare il Grande reset, in una dialettica tra «progresso» e «reazione» che si autoalimentano l’un l’altra come mille altre volte abbiamo visto nella storia. Ogni presunto movimento all’indietro genera solo un ulteriore slittamento in avanti, proprio nella direzione che si voleva evitare.
Nel prometeismo manca un aspetto spirituale e «verticale».
In realtà non c’è alcun motivo per cui la tecnologia debba essere di per sé nemica del sacro o della verticalità. Già oggi, le religioni non monoteiste, come lo shintoismo o l’induismo, ignorano questa dicotomia tra spirito e tecnica, e anzi sanno integrare splendidamente i due ambiti. Del resto gli stati meditativi che nelle religioni tradizionali venivano favoriti anche dall’assunzione di sostanze psicotrope potrebbero benissimo essere suscitati da dispositivi tecnologici di «realtà aumentata». E inoltre che cosa è, per esempio, lo «yoga della potenza» se non l’apprendimento di una specifica tecnica da applicare al corpo e alla mente per giungere a trascendere la condizione umana? Tutto questo è già oltre un orizzonte di senso umanistico, siamo già nel terreno di quelle che Peter Sloterdijk chiama le «antropotecniche». C’è poi da chiedersi se la verticalità, la ricerca dell’autosuperamento, l’elevazione di sé non siano in realtà l’essenza stessa del prometeismo.
Il progetto è vecchio, sono idee trite e ritrite.
Per quanto si ispiri a Prometeo, Prometheica non rivendica la pretesa di aver, per prima, portato la fiaccola della sapienza all’umanità ignara. Ci rifacciamo anzi esplicitamente ad almeno un secolo e mezzo di elaborazioni culturali sui temi che ci stanno a cuore, se non addirittura all’integralità della storia delle genti indoeuropee, che sin dall’alba dei tempi è impregnata dello spirito prometeico. Quello che invece è radicalmente nuovo è lo scenario in cui ci muoviamo, dove lo sviluppo di tecnologie che trasformeranno la natura umana e il mondo ha bisogno di una visione del mondo in grado di essere all’altezza di questo passaggio epocale.
Mancate di concretezza, sono belle parole, ma in pratica cosa volete?
Prometheica si occupa di visione del mondo. Non è una rivista di ingegneria, di informatica, fisica o biologia e non ha senso aspettarsi da essa studi di fattibilità sull’utilizzo di questa o quella tecnologia. L’esame degli aspetti anche più concreti delle trasformazioni tecnologiche alle porte è comunque tra gli obbiettivi che ci siamo posti. In un contesto in cui le nuove tecnologie sono in mano a determinati gruppi di potere, il prometeismo non rischia di diventare collaborazionismo col sistema? I suddetti gruppi di potere hanno in mano non solo la tecnologia, ma anche l’economia, la cultura, la politica: se le minoranze attive dovessero occuparsi solo di ciò su cui hanno influenza immediata dovrebbero smettere di occuparsi di qualsiasi cosa. Se, del resto, si ritiene impossibile cavalcare determinati fenomeni dell’era presente, non si capisce con che plausibilità si possa poi sostenere di volerli addirittura sconfiggere, frenare o fuggire. Tra chi ha le leve del potere ai massimi livelli e chi se ne sta chiuso in uno sgabuzzino coltivando la propria impotenza esistono in ogni caso infiniti gradi intermedi su cui una minoranza attiva può influire, mettendo in circolo delle parole d’ordine, cambiando paradigmi culturali, influenzando alcuni decisori.
Il prometeismo teorizza l’impossibilità di fermare la ricerca, per esempio, su intelligenza artificiale o ingegneria genetica; ma allora perché dovrebbe essere possibile fermare le tecnologie non prometeiche e oggettivamente alienanti, come il controllo sociale, i meccanismi di sorveglianza, le grandi distrazioni di massa etc.?
Se non è possibile e forse neanche desiderabile fermare i fenomeni, è però possibile e desiderabile orientarli. In ogni caso, per quanto si possa legittimamente ritenere che in alcuni ambiti la tecnologia abbia peggiorato le nostre esistenze, quella del ritorno all’indietro è una utopia nostalgica irrealizzabile. Bisogna pensare a soluzioni proiettate verso l’avanti. Ad esempio, la privacy «passiva» è una invenzione tutta moderna che non esisteva nelle società arcaiche e non esisterà nel futuro, salvo che per informazioni attivamente protette con risorse superiori a quelle degli aspiranti intrusi. Anche la virtualità e i metaversi, oggi usati per lo più come diversivo dalla realtà, possono essere utilizzati in funzione di una appropriazione di livello di realtà più alti o significativi o per forme di meditazione. Ovviamente si può anche pensare a forme più tradizionali e radicali di «sganciamento» dal mondo interconesso, che tuttavia saranno possibili solo come scelta deliberata, in oasi «naturali» artificialmente mantenute.
Perché ritenere che il superamento della modernità debba avvenire solo tramite accelerazione e non, invece, tramite una catastrofe che riduca drasticamente il nostro livello tecnologico?
Nessuna eventualità può essere esclusa, il futuro non è già scritto, anche se una catastrofe potrebbe distruggere le infrastrutture, non azzerare le competenze necessarie per costruirle, quindi si tratterebbe di un balzo all’indietro magari radicale, ma pur sempre temporaneo. Ma, anche ipotizzando un’ecatombe che cancelli ogni libro, che uccida ogni tecnico, che riduca l’umanità a un piccolo nucleo ignaro regredito a condizioni di vita neolitiche, questo non cambierebbe comunque nulla rispetto alla natura dell’uomo e al suo rapporto con la tecnica. Un uomo regredito alla vita primitiva non cesserebbe di accendere fuochi, di costruire strumenti, di sfruttare la sua inventiva per appropriarsi del mondo. Questo paradiso o inferno primitivista non comporterebbe comunque un’uscita dalla storia (che, al contrario, per essere anche solo pensabile ha bisogno di mega sovrastrutture planetarie che vigilino in modo poliziesco affinché l’uomo non abbia la tentazione della storia).