Snyder e la luna ribelle: maneggiare il potere del Mito
«Un Re è un uomo, e un uomo può fallire o tradire ma un Mito è indistruttibile» questa la frase che riassume al meglio l’epopea di Rebel Moon il progetto in due film di Zack Snyder per Netflix di cui ad agosto sono state rilasciate le Director’s Cut. Frase pronunciata dal robot JC-1435, Jimmy, l’androide che si risveglia “passando al bosco” e che, sullo sfondo canonico di un’epopea fantascientifica alla I sette samurai, incarna al meglio lo spirito dell’opera.
Certo Zack Snyder è autore controverso. Da un lato ha saputo crearsi una forma di culto che ha reso possibile la Snyder’s Cut di Justice League, arrivata a quattro anni dal film del 2017 iniziato dallo stesso Snyder e completato da Joss Whedon con un taglio ben diverso da quello previsto inizialmente. Snyder’s Cut che ha reso giustizia all’afflato epico che Snyder voleva donare ai supereroi DC, ma che da parte della critica è stata considerata solo la dimostrazione dell’abilità di Snyder come promoter di sé stesso. Un regista che secondo alcuni sarebbe più abile su Twitter/X con uscite che assecondano (o provocano) la base di fan e detrattori. Ma comunque la si pensi in merito Snyder è tra i pochi artisti di massa della contemporaneità occidentale in grado di confrontarsi con l’idea di mito e di epica.
Come dimostra Rebel Moon specialmente nella versione estesa, opera in cui è ben evidente la capacità di Zack Snyder di saper confrontarsi con la costruzione del mito, in anni in cui le nuove epiche contemporanee (dal fumetto alla fantascienza) che arrivano dagli States sono in una fase decostruttiva prima ed autodistruttiva poi. Rebel Moon è la dimostrazione di una volontà tesa a combinare elementi e mitologie diverse per provare a forgiare una sorta di sincretismo dove convive di tutto.
Dalle suggestioni gaelico-norrene del villaggio di contadini “ribelle suo malgrado”, al sottotesto del Graal nell’intreccio del robot JC-1435 e della vicenda della principessa Issa (arrivando apertamente a sfiorare elementi cristologici e mariani nel primo risveglio di Jimmy). Fino ai fenomeni pop contemporanei da Warhammer 40.000 alle “spade laser”. Per non dimenticare le Kali le gigantesse blu interdimensionali schiavizzate nelle navi spaziali, tra i jotunn norreni e i navigatori della gilda di Dune di Herbert. Tante suggestioni nell’ennesima variazione sul tema de I sette samurai di Kurosawa. Ma Snyder compie una piccola ma illuminante rielaborazione: in Rebel Moon saranno prima i guerrieri a farsi contadini, e poi i contadini a diventare combattenti. Un dettaglio che riassume l’inventiva e la capacità di Snyder nella rielaborazione di forme note, in cui prova a condensare il meglio di Occidente e Oriente (va da sé quali occidente e quali oriente).
Una rielaborazione di temi noti che la critica e il pubblico hanno in gran parte rifiutato con l’obiezione che Rebel Moon sia solo un copia e incolla al più visivamente accattivante. Anzi per molti lo stesso termine rielaborazione sarebbe immeritato: troppo evidenti e smaccate le ispirazioni per poter parlare di rielaborazione. Eppure la sintesi snyderiana di fondere nel crogiuolo di Rebel Moon tutte le suggestioni in nuovo mito (evidente già sin dalla prima cut) è meno banale di quanto le scelte estetiche suggeriscano, come già la sottigliezza dei guerrieri che prima devono farsi contadini.
In merito all’accusa di “copia-e-incolla” si deve far notare la pervasività dell’immaginario pop contemporaneo. Le stesse affermazioni contro Rebel Moon come semplice collage senza nulla di originale si possono fare (e in parte le si fecero) per gli inizia di Guerre Stellari. Dalla famosa dichiarazione di un certo Frank Herbert del 1985: « Sto solo dicendo che ci sono 16 punti di identità tra il libro Dune e Star Wars. Ora che hai una statistica, che cos’è? È 16 volte 16 volte più di 1, le probabilità che non sia una coincidenza? Non ci sono così tante stelle nell’universo”.
A Dune in Guerre Stellari si sommano gli elementi asimoviani, gli evidenti omaggi al cinema di Akira Kurosawa, in particolare a La fortezza nascosta. E soprattutto a tutto il cinema bellico-aeronautico degli anni ’50 e ‘60, da I ponti di Toko-Ri per le sequenze di dialogo in volo dei piloti degli X-Wing a 633 Squadron con i de Havilland Mosquito nei fiordi norvegesi per la trench run nella Morte nera. Fino al celebre Dambusters, I distruttori di dighe, da cui Lucas mutua l’attacco finale al punto debole della Morte nera. Basterebbe un giro su YouTube per comprendere il livello di collage realizzato da Lucas. Ma le cose fuse da Lucas nel crogiuolo di Guerre Stellari erano note solo a un pubblico di esperti.
L’operazione di Snyder avviene più di quarant’anni dopo da quell’Episodio IV quando il minimo dettaglio visivo viene subito vivisezionato su Reddit. Ovvio che oggi gli stessi che apprezzano Guerre Stellari plaudendone l’originalità gridino al plagio nei confronti di Rebel Moon e al suo turbine di suggestioni. Suggestioni si combinano e si intrecciano a più livelli, e in cui domina una riflessione sulla Vendetta e sul Mito che si articola sull’epica classica e sulla ricerca del Graal.
Da questa sezione iniziano gli spoiler.
L’intreccio di Rebel Moon si basa su due filoni principali: da un lato la vicenda di un villaggio agricolo su una luna di un sistema ai margini delle vicende della galassia e dall’altro la crisi della dinastia del Mondo Madre, dopo lo sterminio della famiglia regnante. Mondo madre in cui Warhammer 40.000 convive con suggestioni da Impero Romano declinato con l’occhio del mai abbastanza celebrato Titus di Julie Taymor e una patina sovietista che non si ferma alle sole uniformi, visto che ogni nuova conquista del Mondo Madre è celebrata come una sorta di perpetua Ekaterinburg delle case regnanti sconfitte.
Mentre lo sterminio della casa regnante del Mondo Madre operato dall’ammiraglio e senatore Balisarius con l’ausilio della di lui figlia adottiva Arthelais è, ovviamente, sulla falsariga delle Idi di Marzo. Arhelais, figlia adottiva a cui spetta il compito più ingrato: uccidere la principessa Issa nel giorno della sua incoronazione. Salvo finire poi incolpata da Balisarius (autoproclamatosi reggente con la complicità del senato) di essere la regista della strage. Dietro il regicidio non solo la brama di potere di Balisarius, ma anche il fatto che Issa, come regina, avrebbe avviato una politica di pace dopo gli anni di spietata espansione militare che avevano fatto la fortuna dell’ammiraglio e senatore. Ma questa è politica spicciola, lo scopo di Balisarius è di impedire la manifestazione del Mito.
Arthelais, con il nome di Kora, ha trovato rifugio nel villaggio agricolo dedito alla coltivazione del grano e che rifugge l’uso di macchine per mantenere una connessione spirituale con la terra. Villaggio nelle mire dell’ambizioso ammiraglio Atticus per rifornire la sua dreadnought spaziale di grano e farina. I contadini sulle prime sperano di poter assecondare le richieste dell’ammiraglio, salvo poi scegliere la via della ribellione. Determinante nella scelta della ribellione anche il tentativo di violenza subito da Sam, una ragazza del borgo, da parte della soldataglia della guarnigione lasciata a sorvegliare il villaggio.
Sam a sua volta figura chiave nel risveglio di Jimmy, un androide della fu Guardia reale. Gli androidi JC-1435 erano i robot combattenti della famiglia reale, ma dopo la morte della principessa avevano rinunciato a combattere non essendoci più lo scopo di fondo della loro programmazione e, quindi, della loro stessa esistenza. Pur non perdendo nulla delle loro capacità rimangono inquadrati come robot da fatica venendo disprezzati dalla soldataglia. E JC-1435 dopo essere stato gettato a faccia giù nel fango dai soldati della guarnigione, si reca al fiume incontrando Sam: lui racconta alla ragazza l’importanza del Mito di Issa e lei gli regala una corona di fiori. Sarà proprio il tentativo di violenza subito da Sam a risvegliare definitivamente l’androide come combattente e a farlo passare al bosco, dove inizierà a comportarsi come una sorta di sciamano. Se l’androide passa al bosco, il villaggio si scopre ribelle.
La necessità di difendersi dal ritorno dell’ammiraglio Atticus porterà a un viaggio per reclutare una serie di eroi e dare inizio alla ribellione del titolo. Eroi tutti vittime del Mondo madre: Tarak il principe decaduto dopo la conquista; Nemesis, la madre trasformatasi in angelo della vendetta; Cassius, il generale ribelle, e il gruppo di rivoluzionari Bloodaxe. A cui si aggiunge un altro principe decaduto, Aris, il soldato della guarnigione che per primo si ribella ai suoi commilitoni.
Una ribellione che non sarà contro il Mondo madre in quanto tale, bensì contro i suoi spietati e dissoluti ammiragli. L’idea del mito del Mondo Madre, che seduce tutti come ricorda anche Kora-Arthelais, anche lei orfana di un mondo sterminato dagli uomini di Belisarius, è un mito troppo importante come ricorda in uno dei flashback. E la ribellione, nel finale aperto, diventerà una sorta di restaurazione: la ricerca della principessa Issa, il calice.
Una futura ricerca del Graal su una struttura ciclica, come ricorda l’emblema reale sul JC-1435 (diverso da quello delle altre armature dell’esercito del Mondo Madre): un ouroboro, il Würm, in forma di otto con inscritti nei due cerchi il calice e le ali di un serafino. In mezzo un lupo: Wolf e Würm l’eterna lotta creatrice del mito cosmogonico del Mondo Madre come raccontano gli extra del film e il podcast The Seneschal che fa da prequel.
Il robot non solo si libera ma acquisisce una nuova coscienza di sé (quasi si autobattezza) arrivando persino a sognare. Sogni che racconta in sequenze intervallate con la maturazione del grano seminato in attesa della mietitura. Significativo che la prima conversazione del Jimmy passato al bosco sia con lo spaventapasseri, il primo semplice simulacro di forma umana creato dai contadini.
Tutti gli altri eroi si dovranno invece confrontare con i temi di giustizia, vendetta, redenzione, onore e senso di colpa. In questo è evidente il dualismo tra Nemesis, che entra in scena ribadendo la differenza tra giustizia e vendetta, e in un certo senso, come dal nome scelto, traspare quasi un ruolo divino (evidenziato anche dallo stendardo che gli dedicheranno i contadini, quello della tempesta vivificatrice). E Titus, il generale ribelle, che Arthelais-Kora, convince di unirsi alla ribellione “non per redenzione, ma per vendetta”. Tutto in Rebel Moon ha una struttura duplice, il Mondo Madre, spietata macchina da guerra e mito totalizzante e unificante anche per gli sconfitti. Arthelais-Kora, la carnefice e colei che permetterà il ritorno della principessa Issa (e i contadini dedicheranno a lei lo stendardo di un cane da pastore nero, e sul Mondo Madre una delle vetrate dedicate ad Issa, mostra la Regina del mito con accanto un cane nero).
Allo stesso modo sono duali le figure dei due principi decaduti. Tarek, il principe fuggito dal regno devastato dal mondo madre, con la speranza di vivere fuori dalle responsabilità di regnante. E Aris, che invece ha combattuto fino alla fine contro l’ammiraglio Atticus, fidandosi poi del falso onore dell’ammiraglio, per ritrovarsi come semplice soldato.
Duale è il rapporto tra contadini ed eroi guerrieri: Titus esordisce prima parlando a chi non ha mai preso in mano una falce, e poi a chi non ha mai preso in mano un’arma.
E un grano così che non si era mai visto né ai tempi dei cinegiornali Luce sulla battaglia del grano, né nella pubblicità di Wim Wenders per Barilla del 2002 (in cui pure ci sono dei punti di contatto con l’immaginario snyderiano visto il serafico contadino impegnato a falciare mentre armate di tutte le epoche, fino ad arrivare a caccia a reazione, si inseguono sul suo campo). E le spighe che maturano non sono determinanti solo per Jimmy, ma la sequenza della mietitura a mano dal vero diventa per gli Eroi un momento della verità importante quanto la battaglia successiva.
Da Titus che abbandona l’alcool e beve acqua, al bambino che gioca con Nemesis che da angelo-cyborg della vendetta si riconnette al suo passato di madre, dopo il voto di sangue agli antenati.
Quello che rende Rebel Moon un’opera compiuta è proprio l’attenzione al dettaglio nella scrittura dei personaggi. Tutti i personaggi sono sconfitti che si ribellano, ma ognuno offre una propria specifica chiave di lettura del senso di giustizia e del ruolo della vendetta, realizzando un canone di archetipi che si completano a vicenda. Interessante la prospettiva che Snyder offre dei “rivoluzionari”, la fazione dei Bloodaxe, che è presentata nei film priva di elementi ancestrali o di sangue reale. Sembrano quasi rivoluzionari tra Castro e il Che, e Snyder li tratta come sorta di archetipo minore, privi di un elemento metafisico. Alla fine a rappresentarli nella compagine degli Eroi è Milius, entrata in scena come una sorta di redshirt del Barbudos di turno, ovvero Darrian Bloodaxe.
Per poi rivelarsi l’archetipo della persona comune che si fa eroe per necessità. La storia di Milius è la stessa degli altri Eroi: sempre un’abitante di un mondo sconfitto dal Mondo Madre. Ma venendo da un contesto passivo, non avvezzo alla lotta, compirà solo nella battaglia il percorso che la eleverà al livello degli altri eroi per “lignaggio”. Ribadendo che vale la pena “Resistere e morire per un posto chiamato casa”. Ma lo stesso Darrian Bloodaxe nelle poche battute è presentato come un personaggio ben delineato da “la rivoluzione non ha significato se non aiutiamo i contadini” alla precisazione nella chiamata dei volontari “decidere con il libero arbitrio, senza nascondersi dietro di esso”.
Una ribellione non potrà che riunificarsi con l’artefice, la causa prima della ribellione, ovvero la Casa Regnante del Mondo Madre. Una struttura ciclica per un mito ciclico come quello della Regina Issa: un ideale unificante paragonabile a certe riletture del mito primo del imperatore cinese in cui anche il ribelle alla fine si sottomette per sua scelta nella visione di un qualcosa di più grande incarnata dall’idea imperiale.
Tutto retto sull’ambizione (e la follia) di un autore desideroso di creare una suggestione mitologica dove tutti questi elementi possano convivere in maniera coerente. Dal nuovo testamento, all’immaginario giapponese a quello dell’antica Roma. Con Warhammer e Guerre Stellari. Forse un’ambizione troppo grande per un solo uomo ma che in Rebel Moon affiora molte volte. Com’è consuetudine per Snyder più nella costruzione della scena e delle sue suggestioni che nella rifinitura della sceneggiatura, elementare e basilare, ma mai banale.
L’ambizione di realizzare un’opera d’arte che, guardata con la dovuta attenzione, possa ispirare. Zack Snyder sembra interpretare il piano artistico come un’autrice da lui apprezzata (ipotizzava qualche anno orsono di riadattare il romanzo La fonte meravigliosa pubblicato nel 1943 Ayn Rand per il grande schermo) che spiegava l’arte in questo modo:
«L’arte è una ri-creazione selettiva della realtà secondo i giudizi di valore metafisico dell’artista. L’arte è il mezzo indispensabile per la comunicazione di un ideale morale…»
In tempi in cui l’arte e l’intrattenimento sono diventati un continuo autodafé di colpe anche solo immaginate, ben venga chi crede ancora negli ideali metafisici.
Enrico Petrucci