Senna. La miniserie Netflix sul Superuomo della Velocità
Il 2 dicembre ricorrevano gli ottanta anni dalla morte di Filippo Tommaso Marinetti. Negli stessi giorni Netflix mandava in onda Senna, la miniserie biografica sul grande campione brasiliano. Immagino sia stato un caso, non credo che nelle intenzioni della casa di produzione streaming ci fosse una chiara volontà di correlazione. Tuttavia, la coincidenza è curiosa.
Immagino nessuno possa arrivare a chiedersi il perché si accosti il padre del Futurismo a uno dei più famosi piloti automobilistici della storia, vorrebbe dire non aver neanche letto il noto manifesto del 1909. L’accostamento tra Marinetti e Nuvolari poi è stato fatto talmente tante di quelle volte che oramai è quasi scontato. Ma forse è proprio Ayrton Senna l’unico, o per lo meno uno dei pochissimi tra i piloti della Formula 1 dalla sua fondazione nel 1950 ad oggi, che possa essere davvero accostato agli ideali futuristi.
Di Ayrton si è molto detto nel bene o nel male, ma su una cosa tutto il mondo è sempre stato concorde: era il più veloce di tutti. La ricerca della velocità era per lui un’ossessione, bramava andare sempre più veloce, anche oltre i limiti imposti dalla meccanica delle sue auto. Il numero di pole position e giri veloci ottenuti in rapporto alle gare disputate resta ancora impressionante e imbattibile, anche nell’era delle supermacchine. E insieme alla velocità, più di ogni altra cosa bramava la vittoria. Per lui ogni corsa esisteva soltanto nell’ottica in cui doveva tagliare il traguardo davanti a tutti. Non esistevano calcoli, strategie, conteggio dei punti in classifica. No, la gara o si vinceva o nulla. Infatti le sue gare quasi sempre potevano essere sintetizzate così: o vinceva o usciva di pista. Motivo per cui forse ha vinto “solo” tre mondiali, che all’epoca erano comunque un’enormità. Emblematico il GP di Montecarlo del 1988 quando, primo e incontrastato, spinse la vettura fino al limite cercando di doppiare addirittura il compagno di squadra Prost, che era secondo. Sarebbe stata una vittoria facile, se avesse risparmiato le forze e avesse controllato la gara. Invece voleva di più, voleva andare oltre, così spinse fino al limite e la macchina lo tradì, regalando la vittoria al rivale. E questo suo comportamento è senz’altro uno dei motivi per cui è stato tra i più amati dai tifosi e tra i più odiati, ma anche temuti, dai colleghi piloti.
“Io mi rifiuto di abbandonare la lotta. È la mia natura”.
Ma non è solo la velocità e la sua continua ricerca di una sfida o di un limite da superare che fa pensare a un accostamento tra Senna e il Futurismo. È piuttosto la ricerca della velocità nelle corse automobilistiche come fusione tra carne e acciaio per cercare una nuova dimensione, quasi sovrumana, di esistenza. Dopo l’era di Nuvolari, in cui l’auto era agli inizi e il pilota era davvero una figura eroica, è solo con Senna che abbiamo vissuto questa fusione, questa compenetrazione tra auto e pilota. Non c’è stata prima, dove era quasi solo il pilota a contare, non c’è stata dopo, dove l’elettronica e il progresso invece di portare a una nuova era eroica delle automobili ha appiattito tutto, rendendo ogni gara noiosa. E su questo aspetto non possiamo che fare i complimenti a Vicente Amorim, l’ideatore della miniserie Netflix, che ha reso alla perfezione questa volontà di andare oltre attraverso l’auto.
Nel terzo episodio vediamo il pilota, magistralmente interpretato dall’attore brasiliano Gabriel Leone, che ha studiato in modo quasi maniacale le espressioni facciali, le gestualità e i toni di voce del pilota brasiliano, dire alla sorella Vivane: “Ho sentito tutto per tutto il tempo, ed è stato intenso. Sono entrato in un’altra dimensione. E poi il circuito è diventato un tunnel e io dovevo andare avanti, senza fermarmi, sempre più veloce. Ero su un altro piano di esistenza”. Nell’episodio finale Senna racconta di essere nato diverso, perché per lui il mondo era troppo lento mentre lui attraverso la velocità riusciva ad avere una nuova, e più alta, percezione.
Questo aspetto di trasfigurazione attraverso l’acciaio, la meccanica e la velocità è presente in tutta la serie ed è forse il miglior omaggio alla vita di Ayrton Senna proprio perché ne rappresenta l’essenza più pura e lo lancia nell’empireo non solo come grande pilota, categoria dove possiamo annoverare tantissimi grandi della storia automobilistica, ma come vero e proprio superuomo della velocità.
La serie ripercorre i grandi momenti della vita spericolata del pilota brasiliano, che proprio per la grandezza della sua vita sono numerosi. Ad esempio lo storico GP di Montecarlo del 1984, anno del suo esordio in F1 e che lo portò alla ribalta come eroica promessa. Un gran premio, il più difficile di tutti e per questo il più storico e solitamente appannaggio solo dei grandi campioni, corso con una Toleman, una delle macchine più scarse della stagione. “Per correre qui a Monaco con i grandi devi comportarti come un Re” dice una nobile monegasca al pilota brasiliano. Ma Senna in cuor suo si sente già re e quindi va oltre, comportandosi come un eroe epico. Dopo che la pioggia battente diventa diluvio, proprio Ayrton dalle retrovie inizia una rincorsa epica che lo porta a superare i vari campioni come Lauda, Mansell, Piquet, tutti arresi alla pioggia battente. “La pioggia mette tutte le auto sullo stesso piano, ma non i piloti”. Alla fine supera anche Prost arrivando in testa alla corsa, ma la sospensione della gara e la regola che bloccava la classifica all’ultimo giro completato consegna la vittoria al francese, che da quel momento diventa il suo grande rivale. Quel giorno la leggenda di Senna ebbe inizio.
Poi Suzuka 1988: a Senna basta una vittoria per essere incoronato per la prima volta campione del mondo dopo una stagione in cui ha dimostrato a tutti di essere il migliore, soprattutto del rivale Prost. Parte, ovviamente, in pole position. Ma alla partenza il motore lo tradisce. L’auto non parte e tutti lo superano. Quando riesce a mettere in moto è quattordicesimo, Prost è primo. Parte come un folle, spinge oltre i limiti, trascende. Dopo appena un giro è nono. A metà gara ha ripreso Prost e lo tallona. Poco dopo il giro di boa della corsa supera il rivale. Vince gara e titolo. La gente è incredula perché quello che ha fatto è ancora considerato impossibile.
Interlagos 1991: Senna non ha mai vinto in casa sua, il GP del Brasile per lui è come stregato. Si ripromette di vincerlo a tutti i costi. È primo, domina, non ha ostacoli. Ma la maledizione colpisce ancora: gli si rompe la leva del cambio, è bloccato in sesta marcia e in curva non può perdere giri per non spegnere l’auto. È un’impresa impossibile portare a termine la gara, Patrese gli prende quattro secondi a giro. Impossibile per un normale essere umano. Lui arriva fino in fondo, si difende e poi all’ultimo giro può spingere oltre, riportare al limite l’auto e tagliare il traguardo. Dovranno tirarlo fuori dalla monoposto a braccio e trasportarlo al podio in ambulanza perché la fatica per usare il cambio rotto e il volante impazzito lo aveva quasi paralizzato. Ma sul podio vuole esserci, sale zoppicante e tremante, porta con sé la bandiera brasiliana, prova a sventolarla con una fatica enorme. Gli porgono la coppa, non riesce ad alzarla, ma poi con un ultimo sforzo la solleva al cielo, quasi svenendo per la fatica, come simbolo dell’ennesima sfida alle stelle vinta.
Ma oltre alle corse la serie mostra i rapporti interpersonali, difficili se non impossibili con tutti. Una difficoltà causata dalla solitudine di chi è su una vetta che nessun altro è riuscito a scalare. I piloti che lo ammirano ma che non possono godere della sua amicizia. I piloti che lo odiano e che lo invidiano semplicemente perché non possono essere come lui. E poi le donne: oltre a Lilian, amore adolescenziale divenuta sua moglie per un solo anno, nella serie vediamo la bellissima Xuxa, la showgirl brasiliana più amata di quegli anni e la bellissima e giovanissima modella Adriane, oltre che una baronessa monegasca forse frutto di fantasia. La serie non lo mostra, ma Senna ebbe anche Carol Alt, allora la più bella di tutte. Senna, come gli eroi epici, era l’oggetto del desiderio delle donne più belle e ambite, che per natura “si concedevano più volentieri a coloro cui meno importava morire”. Ebbe le più belle e le più desiderate ma loro non poterono avere lui. Perché la vetta da cui osservava il cielo era già essa troppo alta per tutti, ma lui volgeva lo sguardo ancora più su.
Ed eccoci al gran finale, a quel dannato 1 maggio 1994 a Imola. Un gran premio maledetto, iniziato con il terribile incidente a Barrichello durante le prove. E proseguito con la morte del pilota austriaco Ratzenberger, il primo a morire in Formula 1 dopo dodici anni. Un gran premio caratterizzato da quella cappa oscura che da subito aveva fatto capire che qualcosa di strano era nell’aria. Un qualcosa che Senna fu il primo, forse l’unico a notare dal principio. Fu il solo ad avvertire i commissari e i piloti che quel giorno non era come gli altri. Li aveva avvisati ma loro non potevano capire. Perché lui, dalla vetta a cui era trasceso, era l’unico in grado di avvertire le forze che si erano scatenate quel giorno su Imola. Era l’unico che aveva avvertito la chiamata. Perché gli dei non potevano sopportare che qualcuno come loro calcasse la terra dei mortali. E quindi lo chiamarono al loro cospetto. Volevano con loro il più grande di tutti. E lo resero immortale.
Carlomanno Adinolfi