Lo tsunami Deepseek dimostra che la sfida delle AI è ancora aperta (anche per noi)
Uno tsunami si è abbattuto sul mondo tecnologico legato alle IA. Il lancio di Deepseek, la startup cinese che ha sviluppato un nuovo modello di linguaggio concorrente a quello di OpenAI, ha letteralmente fatto crollare le azioni di Nvidia e delle altre BigTech legate allo sviluppo di tecnologia e processori per intelligenze artificiali. Miliardi bruciate in poche ore. Ma come mai?
Ciò che ha sconquassato il mercato non è stato tanto il fatto che R1 – così si chiama il modello di Deepseek – abbia in pochissimo tempo raggiunto e superato il livello di ChatGPT, ma che lo abbia fatto senza servirsi della sua sofisticata e avanzata tecnologia hardware.
Finora Nvida e le grandi aziende americane avevano puntato tutto sullo sviluppo di GPU – processori basati sulla parallelizzazione estrema di calcolo – sempre più performanti e su veri e propri supercomputer il cui costo era pressoché insostenibile per qualunque rivale. La supremazia americana sembrava quindi un dato oramai assodato e inscalfibile per parecchi anni, con un vantaggio tecnologico difficile da colmare. I cinesi hanno dimostrato che non solo è possibile, ma lo si può fare anche senza costi proibitivi di realizzazione hardware.
Secondo l’azienda, infatti, DeepSeek avrebbe sfruttato una tecnica innovativa chiamata “Test Time Scaling“, che permette di sviluppare nuovi modelli di intelligenza artificiale semplicemente ottimizzando le risorse computazionali già esistenti e ampiamente disponibili. Con un totale di spesa – sempre secondo loro – di appena sei milioni di dollari.
Ovvio quindi che le azioni di quelle che finora erano viste come le aziende monopoliste della tecnologia legata alle IA siano crollate. Ma oltre alla questione economica questo tsunami apre anche interessanti scenari politici. La supremazia tecnologica americana, come dicevamo, inizia a vacillare dimostrando che anche chi non ha a disposizione le stesse risorse economiche e tecnologiche può competere, con costi ridotti e maggiore competitività. L’ennesima dimostrazione che non esistono “sfide che non si possono vincere” ma solo “sfide che non si ha il coraggio di affrontare”. Ed ecco una sfida che, se l’Europa fosse in grado di raccoglierla, potrebbe vederci rilanciati come possibile ago della bilancia nella sfida sino-americana sul predominio della sfera dell’informazione.